Segreti di Roma – Il cuore di Nerone
30 Aprile 2019La prima volta che ne ho sentito parlare fu quasi vent’anni fa in un bar dove Nino, un anziano del quartiere con in mano una gazzosa, rievocava i suoi giochi di quando era bambino.
Era un racconto intriso di parolacce e modi dire romaneschi ormai dimenticati che la voce dell’uomo riarsa da migliaia di sigarette rendeva ancora più lontano nel tempo. Allora in piazza San Pietro si circolava liberamente ed il traffico era pressoché inesistente.
“Figurateve che, prima de la guera, ce passavano pure l’autobus e in un giorno ce potevi vede’ al massimo una decina de “balilla” dei signori “Noi regazzini lì eravamo i padroni e ce potevamo gioca’ perfino a pallone.
Vacce adesso… t’aresteno! Corevamo da tutte le parti e se fermavamo solo quando c’era un corteo de sore che allora quarcuno de li amichi mia diceva d’annà a prende’ a carci er core de Nerone”.
“ Come? Come sarebbe ‘ sta storia ? ” chiesi io incuriosito. Subito Nino mi rispose quasi indignato: “ Ah…come te chiami… me credi rincojonito? Te dico che in mezzo alla piazza, accanto all’obelisco ce stava ‘na pietra, come se dice… un sanpietrino, con inciso sopra un cuore. E vedrai che ce sta ancora”.
La notizia era un’autentica sorpresa. Pur avendo letto, infatti, diversi libri su San Pietro e il suo colonnato, mai sin ad allora però mi era giunta una storia simile. E sulle prime, infatti, pensai si trattasse della fantasia di un vecchio perduta nel passato, ma poiché a Roma capita che le leggende siano talvolta più vere della realtà, decisi di dar credito a quella debole traccia anche se sembrava proprio uscita da un libro di favole.
Trascorsi così una settimana cercando nelle biblioteche più antiche ed in diverse guide del Vaticano qualcosa che avvalorasse la storia ascoltata nel bar. Ed in effetti, il primo risultato che ottenni fu scoprire che l’intera area attualmente occupata dalla Basilica e più oltre ancora, era stata anticamente il luogo dove Nerone prima e Caligola poi, avevano realizzato ognuno il proprio anfiteatro e se, come è accertato, proprio in quella zona erano stati uccisi diversi martiri cristiani quella fantomatica pietra, se davvero fosse esistita , tuttalpiù poteva essere la memoria di un martire e non certo di Nerone.
Il secondo risultato lo scovai in un volume di racconti locali che mi prospettava storie davvero bizzarre e suggestive ma scarsamente plausibili. Era tuttavia comunque un buon segno: evidentemente qualcuno era riuscito ad individuare la pietra e infatti suggeriva tre ipotesi per giustificarne la presenza. La prima: che si trattava dell’indelebile segno lasciato da una moglie disperata di fronte al rifiuto del papa di concedere la grazia al marito condannato. La seconda: che fosse il sasso scolpito da un garibaldino la notte prima di abbandonare Roma alla caduta della Repubblica Romana nel 1849.La terza: la presunta incisione annoiata di uno zuavo pontificio in attesa di un ordine mai arrivato alla vigilia dell’attacco dei bersaglieri nel 1870. Insomma, leggende a metà strada tra storia e fantasia ma, in ogni caso , da nessuna parte, veniva indicata l’esatta posizione del “Cuore di Nerone” in piazza San Pietro.
Pertanto potevo affidarmi ancora alle sole parole della storia di Nino perché la soluzione migliore per trovare una spiegazione più convincente era andare sul posto.
Scelsi perciò con cura il tempo per la mia indagine: venerdì 3 agosto 2001 alle ore 15; un giorno anonimo in un orario anonimo per non trovare troppa gente in mezzo. A pochi metri dal colonnato che mi chiesi perplesso : ”In ventitremila metri quadrati quanti potranno mai essere i sanpietrini ?“ Me ne resi conto appena vidi la piazza davanti: la più grande concentrazione al mondo di cubetti di porfido riverberava per l’afa ad oltre trenta gradi. L’unico, effimero sollievo , era il ricordo di Nino con la sua gazzosa che mi diceva :
“ Ahò! Devi annà ‘ntorno all’obelisco!”.
Il lampo di quella immagine fu un autentico scossone perché di colpo il numero dei sanpietrini si ridusse quasi un milione cosicché le pietre di porfido che avrei dovuto analizzare intorno all’obelisco al massimo potevano essere “solo” ventimila. Tra l’altro, notai anche che la maggior parte dei ciottoli erano di recente fattura e dovevano risalire al giubileo del 2000. Tuttavia ne restavano ancora circa diecimila. Con tale prospettiva e malgrado la canicola iniziai la mia ricerca meticolosa, un passo alla volta, lo sguardo a terra scrutando ogni minimo particolare, ogni piccola sporgenza, il simbolo più insignificante. Niente. Alla conclusione del quinto inutile giro intorno all’obelisco ecco farsi avanti un poliziotto che mi chiese premuroso: “ Ha perso le lenti a contatto? “. “ No, no grazie” risposi farfugliando qualche giustificazione. Ed è lì che pensai come talvolta la verità è peggiore di ogni bugia. Se avessi risposto che stavo cercando il “ cuore di Nerone” mi avrebbero caricato senz’altro in ambulanza.
Era quasi un’ora che giravo come uno scemo senza trovare nulla, quando compresi che valeva la pena osservare più attentamente le pietre di porfido rosse e verdi e di concentrarmi sulle più rovinate e sconnesse, evidentemente più antiche e consumate perchè calpestate nei secoli da migliaia di passi di pellegrini e turisti inconsapevoli. E fu allora che in prossimità della lastra del vento di Libeccio, accanto ad una fontanella, seguendo l’ideale diagonale che unisce il lampione di sinistra, guardando la basilica, alla base dell’obelisco, riconobbi l’introvabile “cuore di Nerone”.
Era di colore rosso scuro con un rilievo al centro simile agli ex voto che si vedono in chiesa accanto alle immagini sacre offerti per grazia ricevuta.
Il sole calava oramai dietro al Cupolone quando, finalmente la mia ricerca poteva dirsi conclusa. Ero contento anche perché Nino aveva raccontato una storia vera ed io ero uno dei pochi che poteva dire dove si trovava l’unico san pietrino a forma di cuore in piazza San Pietro.
Sicuramente, per la sua definizione, molto aveva giocato la fantasia e il mistero ma, a mio parere, l’unica spiegazione verosimile che riuscii a darmi è che rappresentasse forse una specie di pietra “millesimata” posta lì come marchio di qualità da chi nel ‘700 realizzò la pavimentazione di uno dei luoghi più famosi al mondo.
E la cosa è andata avanti così fino a ieri, quando l’ultimo mistero si è inaspettatamente rivelato. Non c’entrano , pertanto, Nerone e nessuna moglie disperata né tantomeno zuavi o garibaldini. E neppure il pomodoro che qualcuno, ultimamente aveva ipotizzato su INTERNET cogliendone, a suo dire una certa qual somiglianza tra la forma del frutto della pianta e il disegno del cuore inciso sulla pietra. Ed è scartata definitivamente, anche l’ipotesi che potesse trattarsi dell’asso di picche lasciato da un cartomante.
Oggi si può affermare che la pietra che i bambini si divertivano a prendere a calci in spregio di Nerone, è che quel poco che rimane di un antico sarcofago romano di porfido rosso, considerata pietra di gran pregio in antichità ed evidentemente ridotto in pezzi per impreziosire un luogo importante l’emiciclo dell’obelisco che domina piazza San Pietro.
A Roma, per averne un’idea ed osservarne uno ancora nella sua integrità e dello stesso colore, basta osservare l’altare maggiore della chiesa di San Bartolomeo all’isola Tiberina. Ma ancora più sorprendente è il fonte battesimale del Duomo di Milano realizzato con lo stesso materiale, presenta l’identico disegno ed è ovviamente del medesimo colore.
E comunque le lenti a contatto, alla fine, me le sono comprate.
Minello Giorgetti
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